Quando finisce un matrimonio: il processo emotivo di un divorzio
Quando finisce un matrimonio: il processo emotivo di un divorzio

Quando finisce un matrimonio o una relazione di coppia, quando si affronta una separazione o un divorzio, si affronta un difficile processo di cambiamento, spesso fatto di liti e conflitti.  Un divorzio però è anche un’occasione evolutiva in cui rielaborare aspetti di sé anche in relazione ai legami e per questo motivo è importante dare valore alla relazione finita.

Quando finisce un matrimonio

Il divorzio (dal latino divortium, da di-vertere, “separarsi”), o scioglimento del matrimonio, è un istituto giuridico che decreta la fine di un matrimonio. Dal punto di vista psicologico, la fine del matrimonio (separazione o divorzio) “è un processo evolutivo, dinamico, che cambia la forma delle interazioni umane senza dissolverle” (Cigoli, Gullotta, Santi 1983).

Infatti la fine di un matrimonio può essere un’occasione per una maturazione e una trasformazione dei coniugi come individui e delle relazioni sociali che ruotavano intorno alla coppia.

Il divorzio però è solo l’esito di una crisi in cui i vissuti da superare sono legati alla rottura di un patto coniugale, al sentimento di fallimento, ai vissuti di perdita e tutta la rete di relazioni è coinvolta in questi vissuti.

Separazione e divorzio sono la conseguenza di una frattura che si inserisce entro un contesto di perdita e spesso, piuttosto che un processo evolutivo, il rischio che si corre è quello di attuare delle risposte involutive e regressive, generando così odio e discordia e mettendo profondamente alla prova la famiglia lasciando tracce profonde nella vita dei suoi membri.  

La separazione e il divorzio possono essere intesi come processi che comportano un’evoluzione dell’individuo e delle relazioni familiari sul piano coniugale, su quello genitoriale, su quello delle relazioni sociali e dell’intera comunità.  Ogni individuo, infatti deve essere considerato come membro di un sistema dinamico.

I sei stadi del divorzio

La letteratura propone diversi modelli per descrivere gli stadi del processo di separazione e divorzio, tra questi ricordiamo il modello di Bohannan.

Secondo Bohannan, ogni coppia attraversa un percorso caratterizzato da sei stadi paralleli ed i partner possono trovarsi in stadi diversi nello stesso momento.  Il mancato superamento di uno stadio può produrre problematiche psicologiche di vario tipo ed entità.

  • Divorzio emotivo: situazione di deterioramento nella relazione di coppia, che precede la decisione della separazione, questo stadio è caratterizzato da un profondo senso di dolore e angoscia e da due fasi distinte:
    • Fase del ping-pong: in cui si oscilla tra momenti di aggressività e riappacificazioni; tale oscillazione può cronicizzarsi.
    • Point of no-return coniugale, in cui si acquisisce la certezza che l’unione comporta più svantaggi che vantaggi.
  • Divorzio legale: coincide con la presa di contatto con un avvocato. Si ricorre al sistema giuridico per definire sia le questioni patrimoniali che l’affidamento dei minori. Il procedimento giudiziario viene spesso percepito, dai due partner, secondo una logica accusatoria e sanzionatoria.
  • Divorzio economico: riguarda le questioni circa la suddivisione dei beni, delle proprietà e del mantenimento dei figli. In questa fase la realtà emotiva della rottura diventa concreta e drammaticamente vera.
  • Divorzio genitoriale: è la fase in cui avviene la ridefinizione della relazione genitoriale e della gestione dei ruoli genitoriali. Vanno, infatti, assicurate la continuità all’adempimento dei propri compiti e le responsabilità genitoriali anche a separazione avvenuta. In questo stadio la coppia mette fine al ruolo coniugale ma continua a mantenere il ruolo genitoriale, è importante dunque gestire al meglio questo stadio perché è decisivo per il sano equilibrio psicologico dei minori nel periodo di post-separazione.  L’obiettivo è quello di giungere ad una netta demarcazione tra ruoli genitoriali da un lato e ruoli matrimoniali dall’altro. Questa fase ha strette interferenze con il divorzio economico, in quanto attira rancori e desideri di vendetta e rappresenta l’unico motivo di contatto tra le parti e l’ultima possibilità di ferirsi. E’ la fase in cui ogni minimo episodio di discordia può riaccendere il conflitto.  In questa fase si gioca l’affidamento dei figli.
  • Divorzio sociale: prevede la rottura o l’indebolimento di alcuni rapporti significativi con la famiglia di origine del partner, o con amici comuni.
  • Divorzio psichico: avviene quando si realizza la “separazione di sé dalla personalità e dall’influenza dell’ex coniuge” (Bohannan, 1973). Si impara a vivere senza l’altro, valutando sé stessi come indipendenti. Se si resta bloccati in questa fase, si corre il rischio di rimanere legati all’ex partner che si ritiene responsabile del fallimento della propria vita e ci si preclude la possibilità di legarsi a nuovi partner.

Cigoli, Galimberti e Mombelli (1988) chiamano legame disperante quel legame che non consente alla coppia di raggiungere il divorzio psichico.  In questi casi, i partner non possono restare in coppia perché il legame è distruttivo ma chiuderlo sarebbe troppo doloroso e angosciante, “non riesco a vivere né con te né senza di te” diceva Ovidio.

Il bisogno di distruggere l’altro deriva dal considerarlo il responsabile di tutti i mali e gli attacchi economici, giuridici e psicologici non sono altro che un tentativo di ottenere un risarcimento per i torti subiti.

Rapporto tra emozioni e comportamento nella separazione

Kaslow (1980) elabora un altro modello in cui si distinguono tre momenti fondamentali del processo di separazione in cui è possibile mettere in relazione le emozioni provate e i comportamenti utilizzati dai partner. Le prime due fasi possono durare dai 2 ai 4 anni.

Il modello di Kaslow prevede:

  1. Fase di alienazione: avviene prima della separazione, ed i sentimenti dominanti sono la delusione, il senso di vuoto, il ritiro emotivo, le controversie ed il rifiuto. Si tenta di trovare soluzioni senza successo e si prende la decisione di separarsi. Questo momento è molto difficile sia per chi prende la decisione sia per chi la subisce. Il distacco emotivo e la delusione non vengono percepite riguardo a tutte le componenti della relazione, per esempio, ci si distacca dal partner a livello sessuale e non magari a livello affettivo e sociale perché il partner rappresenta ancora un punto di riferimento importante e una fonte di sicurezza. Questo procura una grossa destabilizzazione ed è uno dei motivi per cui per alcuni questa fase può durare molti anni. La difficoltà per chi subisce la decisione della separazione è molto simile al lutto causato dalla morte di una persona cara.
  2. Fase conflittuale o legale: è la fase in cui si manifestano depressione, disperazione, collera. Questa fase legale nasce dall’esigenza di riorganizzare in modo concreto la propria vita e la controversia viene spostata sul piano del diritto per risolvere questioni pratiche come ad esempio chi dovrà abitare nella casa coniugale, la frequentazione dei figli, il mantenimento dei figli. In questa fase la coppia può assumere atteggiamenti contrapposti: quello di negare la separazione, limitando al minimo i cambiamenti, e quello di sciogliere ogni vincolo perché ciascuno possa ottenere il massimo beneficio nella contrattazione. Questa fase è accompagnata da sentimenti di perdita e mancanza di punti di riferimento legati al partner, sentimenti questi che possono confondere davanti alle scelte di riorganizzazione della propria vita.  Così alla depressione può seguire l’aggressività, la disperazione, la rabbia e la confusione.
  3. Fase riequilibratrice: in questa fase si conclude la separazione, si ristrutturano la propria identità e le relazioni familiari e si investe in nuove attività. Quanto più positivamente sono state superate le precedenti due fasi, tanto più i membri della famiglia saranno in grado di sperimentarsi con fiducia in nuove possibilità. In questa fase la prospettiva temporale è rivolta verso il futuro e non più al passato. L’esito migliore di questa fase corrisponde al divorzio psichico e cioè quando ciascun partner riacquista la capacità di progettazione di sé, di guardare al futuro attraverso adeguate scelte affettive e relazionali.

Salvare il legame per riuscire a separarsi

Alla separazione e al divorzio si arriva dopo un processo di crisi del patto coniugale che viene attaccato, violato ed infine rotto. La crisi del patto coniugale è un processo di transizione che coinvolge anche le reti di relazioni in cui ogni partner e la coppia sono inseriti e, come ogni crisi, è quasi sempre caratterizzata da sofferenza, confusione e disorganizzazione. Una crisi ha la possibilità di essere superata se si sfrutta l’opportunità di coglierla come un’occasione di maturazione e trasformazione piuttosto che come un blocco evolutivo in cui si resta imbrigliati.

Per superare la crisi del patto coniugale è necessario“affrontare la fine del patto sapendo portare in salvo il legame medesimo” (Cigoli, 1999) e cioè ricostruire la sua storia e le vicende ad esso collegate. Ogni partner potrà riflettere sulla propria storia generazionale, sui propri bisogni, sulle aspettative relazionali legate alla scelta del partner e alla costituzione del patto ed attuare quindi una ricostruzione della storia di coppia e di  sé stessi.

Solo tramite questo movimento di ritorno all’origine e di riflessione sul patto a partire da se stessi è possibile effettuare il transito la chiusura della crisi. Tramite questo percorso si potrà avere la possibilità di riconoscere ed elaborare il dolore e l’ingiustizia ma anche ciò che di positivo la relazione ha portato.

In ogni caso, dopo il divorzio, sarà necessaria una ristrutturazione della rete di relazioni legate alla coppia e verrà richiesto agli ex coniugi di ridefinire le loro posizioni sia riguardo alla coppia stessa che come genitori e figli. Quindi, trattare la fine del patto coniugale è un compito che si deve svolgere in coppia, “ Come insieme si stringe il patto, così insieme lo si scioglie” (Cigoli, 1998).

Nonostante il dolore legato alla crisi, salvare il legame, e dunque dargli valore, consente di considerare sé stessi e l’altro come degni di legame. Questo rende possibile affrontare nuove sfide evolutive come incontrare un nuovo partner, la nascita di un figlio, un cambiamento importante per i propri figli, infatti, i risvolti della fine del patto coniugale si ripresenteranno durante le esperienze evolutive.

Dare valore al legame per salvare la genitorialità

Coniugalità e genitorialità sono strettamente connessi, infatti, quando la coppia è in conflitto emergono delle difficoltà nel processo di trasmissione intergenerazionale e dunque sullo sviluppo relazionale dei figli.

Risulta ancora più importante quindi chiudere la crisi del patto coniugale dando valore al legame che continuerà a vivere comunque nel rapporto con  i figli. Si smette di essere coppia coniugale ma non di essere coppia genitoriale e diventa necessario accettare di continuare ad appartenere ad uno stesso sistema familiare condividendo le responsabilità genitoriali e trovando degli accordi sui figli.

Il patto coniugale, dopo un divorzio, dovrà essere trasformato in patto genitoriale che dunque viene fondato sul valore del legame che ha portato alla scelta del partner, all’unione della coppia e alla costituzione della famiglia e alla sua evoluzione nelle generazioni future.

Per saperne di più:


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